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Cause dell’obesità nel cane e nel gatto

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Spesso non diamo troppo peso alla “rotondità” del nostro amato peloso, convinti che sia sufficiente dargli un pò meno cibo, ma le cause dell’obesità del cane e del gatto potrebbero essere molteplici e ben più serie di quelle che pensiamo.
L’obesità dovrebbe essere presa piuttosto seriamente, poiché potrebbe essere sia la causa che la conseguenza di problemi anche molto gravi.

LE CAUSE DELL’OBESITA’

Negli ultimi tempi l’obesità nell’uomo e in numerose altre specie di mammiferi è aumentata in tutto il mondo e continua a crescere ad un ritmo allarmante.
Le cause sono diverse e complesse.

Un obiettivo chiave della ricerca sull’obesità negli esseri umani è il comportamento alimentare, in particolare le cause del consumo in eccesso rispetto ai propri bisogni calorici.

Un’area che ha ricevuto crescente attenzione è l’influenza dello stress, sia acuto che cronico, sulla scelta del cibo e sul comportamento alimentare. 

Le cause dell’obesità nel cane e nel gatto possono essere suddivise in diverse grandi categorie:

  • correlazioni mediche: ad esempio l’ipotiroidismo e l’iperadrenocortismo sono associati all’aumento di peso; oppure le cause iatrogene di polifagia e aumento di peso paiono essere legate all’uso di alcuni farmaci come i glucocorticoidi e  gli anticonvulsivanti
  • predisposizione genetica (nei cani è noto che alcune razze hanno un aumentato rischio di obesità, ad esempio Labrador Retriever, Cavalier King Charles Spaniel, Scottish Terrier, Cocker Spaniel)
  • influenze perinatali
  • fattori dietetici (nei gatti, l’alimentazione ad libitum con diete commerciali altamente appetibili e ad alta intensità energetica sembrano aumentare il rischio di obesità)
  • stile di vita
  • ambiente ed attività fisica
  • fattori riproduttivi (la sterilizzazione è un importante fattore di rischio per l’aumento di peso nei cani e nei gatti)
  • genere (in alcuni studi sui cani con obesità, le femmine costituiscono la presenza maggiore)

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LO STRESS TRA LE CAUSE DELL’OBESITA’

La stragrande maggioranza della letteratura sull’obesità negli animali da compagnia non include alcuna causa psicologica, emotiva o legata allo stress.

Poiché l’obesità negli animali da compagnia è attribuibile a un’eccessiva assunzione di cibo, una domanda cruciale è stata ed è lasciata senza risposta: perché l’animale mangia troppo?

Diversi studi hanno dimostrato che quando viene offerta un’alimentazione a scelta libera, anche con diete ricche di grassi, non tutti gli animali diventano obesi. Alcuni gatti sono addirittura in grado di autoregolare in modo efficace la loro assunzione di cibo e non diventano obesi.

Alcuni autori hanno affermato che i gatti possono mangiare eccessivamente in risposta al benessere psicologico diminuito, ossia come meccanismo per far fronte allo stress, alla noia, alla frustrazione, all’ansia e alla depressione.

Un altro elemento rilevato dai suddetti studi è che l’impossibilità di soddisfare i propri bisogni etologici ed emotivi sembrerebbe essere un ulteriore fattore di rischio per l’obesità felina, soprattutto per i soggetti che fanno vita in appartamento (luogo con scarsa stimolazione ambientale).

La conclusione è che affinché un piano di perdita di peso nei gatti abbia successo, devono quindi essere presi in considerazione anche gli aspetti comportamentali e i bisogni psicologici del gatto.

 

CAUSE DELL’OBESITA’ (ECCESSO DI CIBO)

Il comportamento alimentare è stato ampiamente studiato negli esseri umani ed è universalmente accettato tra i ricercatori che esistono 3 costrutti di comportamento alimentare riconosciuti:

  • fame (mangiare in risposta a sensazioni soggettive che segnalano la necessità di cibo)
  • moderazione (restrizione consapevole dell’assunzione di cibo per prevenire l’aumento di peso o favorire la perdita di peso)
  • disinibizione(tendenza a mangiare troppo in risposta a stimoli diversi dagli stimoli della fame interna).

 

Soltanto la disinibizione pare essere fortemente associata all’aumento di peso nel tempo e all’obesità nell’uomo adulto.

Quando applichiamo questi 3 principali costrutti al comportamento alimentare negli animali, possiamo ragionevolmente includere la fame e la disinibizione ed escludere la moderazione, poiché la probabilità che un animale si metta a dieta è realisticamente molto bassa.

Poiché il comportamento alimentare basato sulla fame, in letteratura già ampiamente descritto, non è da annoverarsi tra le cause dell’obesità nel cane e nel gatto, questo articolo si concentrerà sul terzo aspetto.

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LA DISINIBIZIONE ALIMENTARE COME CAUSA DELL’OBESITA’ NEL CANE E NEL GATTO

All’interno del costrutto della disinibizione, le analisi fattoriali dei dati nell’uomo hanno successivamente identificato 3 sottoscale specifiche che definiscono diversi tipi di stili alimentari disinibiti:

  • disinibizione abituale (mangiare troppo in risposta alla disponibilità di cibi appetibili)
  • disinibizione emotiva (tendenza a mangiare troppo in risposta a stati emotivi come ansia o depressione)
  • disinibizione situazionale (mangiare troppo in risposta a specifici segnali ambientali come occasioni sociali, ad es. feste, campi da gioco, cinema, ecc.).

 

Negli animali da compagnia, il mangiare eccessivo sarebbe causato dalla disinibizione abituale, ovvero vengono sovralimentati dal caregiver umano.
Tuttavia, anche se la disinibizione abituale è una delle ragioni principali dell’eccesso di cibo negli animali domestici, è comunque importante affrontare la questione dell’individualità.
Perché alcuni animali mangiano troppo quando è disponibile cibo in abbondanza ed altri animali invece no?

 

DISINIBIZIONE EMOTIVA

Nell’ottica di una costante ricerca delle cause dell’obesità nel cane e nel gatto, i ricercatori hanno sviluppato definizioni leggermente diverse per l’alimentazione emotiva.
Il termine può essere definito come il mangiare per far fronte ad una serie di emozioni negative come l’ansia, la depressione, la tristezza, la solitudine, la noia, la paura e la rabbia.
Il mangiare eccessivo sarebbe cioè un meccanismo di coping per alleviare e gestire lo stress e le emozioni negative.

Inoltre, il tipo di cibo scelto per ottenere conforto psicologico avrebbe caratteristiche distintive (cibi ricchi di zuccheri e di grassi).

Nei ratti, variabili come l’intensità del fattore di stress influenzano la direzione del cambiamento nel comportamento alimentare, dove lo stress grave o incontrollabile in genere riduce l’assunzione di cibo, mentre livelli moderati e bassi di stress la aumentano.

Sebbene gli studi sugli umani e sugli animali di laboratorio dimostrino che lo stress è associato al peso corporeo come causa dell’obesità, questo comportamento alimentare non è stato dimostrato empiricamente negli animali da compagnia addomesticati.

Tuttavia, a causa delle ampie somiglianze attraverso lo spettro filogenetico (in particolare tra i mammiferi) dei processi emotivi e legati allo stress e dei meccanismi di coping, è ragionevole ipotizzare la presenza di un’alimentazione emotiva e indotta dallo stress anche negli animali da compagnia.

Affinché un piano di perdita di peso abbia successo, risulta pertanto doveroso agire in duplice modo:

  1. prendere in considerazione anche gli aspetti comportamentali e i bisogni psicologici dell’animale, in quanto il sovrappeso e l’obesità possono essere un segno clinico di compromissione della salute mentale o della qualità di vita
  2. Valutare attentamente la tipologia di alimentazione da somministrare all’animale

 

In particolare, per quanto concerne questo secondo aspetto, negli ultimi anni si sta affermando una più attenta valutazione dell’importanza della qualità del cibo che si offre all’animale, e sta nascendo una nuova e senza dubbio positiva consapevolezza, che si basa nel non fermarsi ai soliti mangimi commerciali, ma spazia in altre forme di alimentazione più naturali e più salutari, come le crocchette lavorate a freddo, o il cibo umido di qualità, o la dieta BARF.

[tratto dalla  review scientifica “Stress-induced and emotional eating in animals: A review of the experimental evidence and implications for companion animal obesity”
Franklin D. McMillan – Journal of Veterinary Behavior xx (2012) 1–10]

 

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